Libera TV Karen Valenzano Rossi, vice-presidente PLRT, candidata al Consiglio nazionale
Ne è passata di acqua sotto i ponti del fiume Aar e Tevere da quel lontano 22 dicembre 2015, quando la Svizzera e l’Italia parafarono un accordo sull’imposizione fiscale unitamente a una modifica della Convenzione contro le doppie imposizioni che ha facilitato la regolarizzazione dei patrimoni non dichiarati in Svizzera da persone residenti in Italia prima del passaggio allo scambio automatico d’informazioni. Aspetti che naturalmente interessavano molto all’Italia! E la Svizzera? Anzi, il Ticino? ll nuovo accordo sulla fiscalità dei frontalieri, che avrebbe dovuto sostituire quello del 1974, non è stato ancora firmato dai due governi né approvato dai rispettivi parlamenti. L’Italia fa melina. Attualmente i lavoratori frontalieri godono di un vantaggio fiscale, poiché sono tassati alla fonte soltanto nel luogo in cui lavorano, per inciso molto meno di quanto lo sarebbero in Italia. Il nuovo accordo dovrebbe correggere (almeno in parte) la distorsione impositiva a vantaggio dei frontalieri. Secondo il nuovo accordo i frontalieri saranno soggetti ad un’imposizione alla fonte limitata in Svizzera, a cui spetterà al massimo il 70% dell’imposta prelevata alla fonte. In Italia i frontalieri saranno soggetti a un’imposizione ordinaria e potranno dedurre le imposte alla fonte pagate in Svizzera. In un primo tempo il carico fiscale totale dei lavoratori frontalieri non aumenta. A medio termine questo nuovo sistema d’imposizione dovrebbe aumentare il carico fiscale soprattutto dei frontalieri nelle fasce di reddito superiore. Questa maggiore equità fiscale fra residenti e frontalieri dovrebbe permettere di ridurre l’attrattività del mercato del lavoro ticinese e attenuare la pressione sui salari. Il nuovo Accordo con l'Italia consentirebbe al Ticino di incassare il 70 per cento delle imposte alla fonte invece dell'attuale 62,2 per cento, il che significa tra i 12 e i 20 milioni di franchi in più all'anno per le casse ticinesi. L’Italia temporeggia platealmente, malgrado gli impegni presi nel 2015. Preso nella tenaglia fra Berna e Roma, il cantone Ticino ha cercato di far sentire la sua voce, ma invano, anche perché le competenze in materia di trattati internazionali sono federali. La decisione del governo cantonale di bloccare la metà dei ristorni fiscali nel 2011 contribuì a riportare l’Italia al tavolo delle trattative con i risultati che conosciamo: l’accordo sulla fiscalità dei frontalieri giace tuttora nel congelatore e l’accesso al mercato italiano è diventato ancora più ostico per le banche, viste le continue misure di pressione che arrivano dalla penisola. Alle richieste di compensazione dei mancati introiti fiscali per il cantone Ticino e alla proposta di revisione della perequazione finanziaria le autorità federali hanno fatto orecchio da mercante. La decisione del Consiglio di stato di trattenere in cassa 3,8 milioni di franchi sugli 84,3 milioni di franchi di imposte alla fonte da riversare all’Italia è stata la classica puntura di una zanzara sulla pelle corazzata di un elefante. Il Consigliere nazionale Giovanni Merlini ha chiesto al Consiglio federale di presentare le grandi linee del piano B, nel caso in cui l’Italia dovesse rifiutare il nuovo accordo fiscale. Il Consiglio federale ha risposto picche alla richiesta d’informazioni per non compromettere il margine di manovra della Svizzera nei negoziati con l’Italia. Una risposta che lascia allibiti. A questo punto dobbiamo avere il coraggio di andare fino in fondo e discutere in modo aperto il piano D, che equivale alla disdetta dell’attuale accordo sulla fiscalità dei frontalieri e all’avvio di nuovi negoziati sull’accordo di doppia imposizione fra Svizzera e Italia. Il piano D presenta opportunità e rischi. È fondamentale ritrovare un’imposizione fiscale equa fra residenti e frontalieri. Anche perché importanti appuntamenti elettorali si annunciano all’orizzonte, come l’iniziativa per la limitazione che intende porre fine alla libera circolazione delle persone. L’hanno già definita la madre di tutte le votazioni, poiché una sua accettazione rischia di far saltare l’impianto dell’intera costruzione degli accordi bilaterali fra la Svizzera e l’Unione Europea. Una tassazione equa dei frontalieri è sicuramente una delle misure che dobbiamo esigere per proteggere il nostro mercato del lavoro! Scarica l'articolo in pdf
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